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Omega 3 salvacuore, ne basta un grammo al giorno

Sono gli angeli custodi del cuore. E gli esquimesi, che mangiano molto pesce, lo sanno bene. Parliamo degli Omega 3, e l’ulteriore conferma sul loro valore per la salute arriva da uno studio tutto italiano. In sostanza gli Omega 3, ovvero i grassi contenuti essenzialmente nel pesce, sono un «salvacuore» in grado di prevenire malattie cardiocircolatorie anche gravi: arrivano a ridurre la mortalità per tali patologie di circa il 10 per cento. Gli eschimesi, che consumano in media oltre 400 grammi di pesce a testa ogni giorno, hanno infatti un tasso di mortalità per coronopatie bassissima.
La dimostrazione del ruolo protettivo sul cuore degli Omega 3 (acidi grassi poli-insaturi PUFA, contenuti essenzialmente nel pesce e in alcune alghe, oltre che nell’olio di lino e noci) arriva dallo studio «GISSI HF», durato quattro anni e condotto dal gruppo GISSI (costituito dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri ANMCO e dall’Istituto Mario Negri) con il sostegno di due aziende farmaceutiche italiane, Sigma-tau e SPA, e dell’americana Pfizer. Allo studio, pubblicato sulla rivista «The Lancet» e presentato al Congresso europeo di cardiologia di Monaco di Baviera, hanno preso parte 357 reparti di cardiologia in Italia, che hanno coinvolto oltre 7mila pazienti.

«Previene malattie cardiocircolatorie anche gravi»
Basta un grammo di Omega 3 al giorno, in questo caso somministrato sotto forma di pillole al campione di pazienti per quattro anni, e il cuore, ha dimostrato lo studio, è al riparo da malattie gravi come scompenso e aritmia. I risultati della sperimentazione, sorprendenti per i ricercatori, non lasciano dubbi: si è registrata una riduzione del rischio relativo di mortalità del 9%, una riduzione dell’8% dei ricoveri e della mortalità per scompenso cardiaco e un calo del 28% delle ospedalizzazioni per aritmie.

Un risultato eccezionale, affermano i ricercatori, «soprattutto alla luce dei tanti studi negativi proprio nel campo dello scompenso cardiaco», una patologia molto diffusa e con esiti spesso gravi: solo in Italia interessa circa 600mila persone, attestandosi come una delle principali cause di morbilità, mortalità e aumento della spesa sanitaria.


«Riduce scompenso cardiaco e aritmie»

Nello studio, gli autori concludono che «la somministrazione long-term di 1g al giorno di n-3 PUFA è risultata efficace nel ridurre sia la mortalità per tutte le cause, che i ricoveri ospedalieri per cause cardiovascolari».

Si trovano nel pesce, che non deve mai mancare a tavola
Nel pesce e nei suoi grassi Omega 3, insomma, sta il segreto per un cuore longevo. Ed è proprio a tavola che si inizia a salvaguardare la salute del cuore. Ma gli italiani, come emerge dai dati Istat, sembrano avere ancora molto da imparare da eschimesi e giapponesi: grandi consumatori di carne, ogni abitante del Belpaese consuma solo 23 chilogrammi di pesce l’anno. Eppure gli Omega 3 del pesce sono un vero toccasana: giocano un ruolo cruciale anche nella prevenzione dell’arterosclerosi, degli infarti, e pure della depressione, del cancro, della colite ulcerosa, del diabete 2 e dell’artrite reumatoide. E se non bastasse, un ulteriore motivo per mangiare pesce c’è: gli Omega 3 sono anche un «salva-cervello», poiché svolgono un’azione importantissima nel metabolismo cerebrale.

Fonte: LA STAMPA Salute 7/9/2008

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«Omega-3», aiuto naturale per tenere lontano l’infarto

La correlazione tra alimentazione ed incidenza di patologie cardiovascolari e’ ormai universalmente riconosciuta. In particolare, studi clinici e ricerche epidemiologiche hanno accertato una stretta dipendenza tra elevati livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue (iperlipidemie) ed incidenza di aterosclerosi ed infarto cardiaco. Il ruolo giocato dall’alimentazione emerse chiaramente da uno studio condotto nel 1978 da due ricercatori danesi, Dyeberg e Bang. Essi osservarono che l’incidenza delle malattie cardiovascolari era particolarmente ridotta nella popolazione degli eschimesi: i decessi per infarto, in Groenlandia, si attestavano intorno al 5.3%, mentre negli USA erano pari al 40.4%. La componente genetica era esclusa; infatti, eschimesi emigrati in America del Nord che si erano integrati nel tessuto sociale di quel Paese e che avevano adottato il regime alimentare locale, presentavano un tasso di incidenza di coronaropatie del tutto paragonabile a quello della popolazione americana. La protezione degli eschimesi contro aterosclerosi e trombosi risulto’ legata alla loro dieta estremamente ricca di pesce e di particolari grassi in essi contenuti: gli acidi grassi polinsaturi “OMEGA-3”. Gli “omega 3” appartengono alla famiglia dei grassi “polinsaturi”. In natura, i grassi possono essere suddivisi in acidi grassi saturi, insaturi e polinsaturi. I grassi presenti nel corpo umano possono derivare dagli alimenti o, nel caso degli acidi grassi “saturi” ed “insaturi”, essere prodotti dall’organismo stesso. I mammiferi non possono sintetizzare invece alcuni acidi grassi “polinsaturi” che, quindi, devono essere necessariamente introdotti con la dieta; per tale ragione essi vengono definiti “essenziali”. Tra gli acidi grassi essenziali abbiamo l’acido linolenico (precursore di tutti gli omega 3) presente negli oli di semi verdi di lino, ravizzone e soia e altri OMEGA-3, contenuti soprattutto nel pesce. Tra gli OMEGA-3 di derivazione ittica, i piu’ importanti ed efficaci sono i cosiddetti EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico). Gli OMEGA-3 sono componenti di tutte le membrane cellulari e sono impiegati nella formazione di sostanze (prostaglandine, trombossani e leucotrieni) coinvolte in numerose ed importanti reazioni cellulari. Essi modificano alcuni parametri biologi: abbassano i trigliceridi nel sangue, aumentano i livelli di colesterolo buono (HDL), diminuiscono lievemente la pressione e riducono i fenomeni che favoriscono trombosi ed aterosclerosi. EPA e DHA quindi non agiscono solo sul distretto lipidico (trigliceridi e colesterolo) ma modulano anche l’intera cascata di fattori coinvolti nell’aterosclerosi, riducendone i fattori negativi ed aumentandone quelli positivi. L’importanza fondamentale degli OMEGA-3 nella prevenzione delle malattie cardiovascolari risulta documentata con dovizia di argomentazioni e riscontri sperimentali. Un contributo importante al chiarimento del ruolo protettivo svolto dagli OMEGA-3, tramite il consumo di pesce, deriva dallo studio (MRFIT) in cui si e’ dimostrata una correlazione inversa e significativa tra l’assunzione di pesce e la mortalita’ per cause cardiovascolari. I dati emersi da un’indagine di prevenzione secondaria, compiuta su oltre 2000 soggetti maschi britannici sopravvissuti ad infarto acuto, indicano una riduzione del 29% della mortalita’ cardiovascolare (studio DART), a seguito di assunzione di OMEGA-3. Una corretta alimentazione, spesso disattesa dalle abitudini alimentari dei Paesi occidentali, dovrebbe dunque prevedere un adeguato quantitativo di pesce, in particolare di pesce azzurro. I derivati ittici che risultano infatti piu’ ricchi in OMEGA-3 sono sgombri, triglie, sarde, aringhe, tonno e molti altri. I preziosi “OMEGA-3” sono tuttavia facilmente “degradabili” per cui, per ottenere il massimo rendimento in OMEGA-3 dal pesce, si deve ricorrere a precauzioni importanti. Innanzitutto il pesce non deve essere di allevamento, deve essere fresco e consumato al piu’ presto e l’ideale e’ consumarlo crudo o cotto il meno possibile (le temperature elevate o le cotture prolungate distruggono gli OMEGA-3). Gli OMEGA-3 sembrano invece non risentire particolarmente della surgelazione. Chi non ama questo alimento o non riesce ad introdurne in quantita’ adeguata puo’ ricorrere all’ausilio di alimenti rinforzati con OMEGA-3 o, meglio ancora, ad integratori a base di olio di pesce.

Fonte: La Stampa 31-01-2003

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Omega-3 contro infarto e ictus

SONO ACIDI GRASSI POLINSATURI PRESENTI NEI PESCI NORDICI CHE AGISCONO IN MODO POSITIVO RENDENDO PIU’ AGEVOLE LA CIRCOLAZIONE DEL SANGUE

E’ rimasto per lungo tempo un mistero perche’ gli eschimesi della Groenlandia e gli abitanti dei villaggi costieri del Giappone e dell’Alaska avessero una cosi’ bassa incidenza di mortalita’ cardiovascolare rispetto alle popolazioni dell’Europa e degli Stati Uniti. Il divario era troppo rilevante (un 7 per cento contro il 40) per non scatenare, dopo le prime osservazioni di Dyerberg e Bang nel 1978, e ricercatori di mezzo mondo alla scoperta dei reconditi fattori protettivi. L’iniziale ipotesi genetica cadde quando si osservo’ che l’invidiabile prerogativa veniva persa da quei soggetti che, emigrando in altre zone, assumevano abitudini alimentari diverse. L’attenzione fu allora rivolta alla nutrizione di quelle popolazioni, basata essenzialmente sul consumo di pesce (soprattutto acciughe, sardine e sgombri) e di carni di mammiferi (foche e trichechi), che a loro volta si nutrono di pesci. Ma anche questo indirizzo di ricerca si scontro’ con un’apparente incongruenza: coronarie pulite e un’alimentazione ricchissima in grassi (oltre il 60%). Fu per questo che si parlo’ di «paradosso eschimese». Il mistero comincio’ a diradarsi quando vennero individuati i prodigiosi fattori protettivi in alcuni acidi grassi polinsaturi della serie OMEGA-3 (detti anche n-3), presenti in abbondanza nel grasso dei pesci dei mari freddi. Sostanza che i pesci assumono cibandosi di fito-plancton e di zoo-plancton. La proprieta’ che rende tanto prezioso l’apporto dei due OMEGA-3 piu’ significativi, l’eicosapentaenoico e il decosaesaenoico, (Epa e Dha) e’ quella di entrare a far parte della struttura delle membrane cellulari degli elementi circolanti del sangue e dell’endotelio (il rivestimento interno dei vasi), dotandole di plasticita’ e di funzionalita’ ottimali anche a temperature molto basse. E’ essenziale, per esempio, che i globuli rossi siano dei bravi contorsionisti, abbiano cioe’ una buona deformabilita’, per poter passare facilmente attraverso i capillari che hanno un diametro piu’ piccolo del loro. Altre benefiche proprieta’ che fanno si’ che gli OMEGA-3 agiscano a diversi livelli nella prevenzione dell’aterosclerosi sono quelle di abbassare i trigliceridi, di ridurre l’aggregabilita’ piastrinica (e quindi la possibilita’ che si formino trombi), di influire positivamente il tono vascolare. Recentemente e’ giunto agli OMEGA-3 un prestigioso riconoscimento al merito cardio-vascolare da parte di un ampio studio multicentrico, programmato e condotto per cinque anni dal Gruppo italiano per lo studio della sopravvivenza nell’infarto miocardico (Gissi), costituito dall’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco) e dall’Istituto Mario Negri. Gruppo gia’ famoso per altri tre studi clinici di assoluta rilevanza internazionale: il Gissi-1 e il Gissi-2, che hanno esplorato la fase iperacuta dell’infarto, e il Gissi-3 che ha indagato sulla fase del post-infarto col paziente ancora ricoverato in ospedale. Lo studio appena concluso, denominato Gissi-prevenzione, si era posto come obiettivo primario quello di valutare se l’aggiunta di OMEGA-3 e di vitamina E alla migliore terapia convenzionale e alla migliore dieta (”mediterranea”, naturalmente), potesse svolgere negli anni successivi ad un primo infarto del miocardio un’ulteriore azione preventiva nei confronti della mortalita’ totale, dell’insorgenza di un secondo infarto e dell’ictus. L’indagine ha coinvolto 11.324 soggetti che avevano subito un infarto da meno di tre mesi, gia’ dimessi dall’ospedale, e piu’ di 500 cardiologi di 172 centri ospedalieri di cardiologia. I pazienti sono stati suddivisi, in modo randomizzato (cioe’ a caso) in quattro gruppi numericamente omogenei: il primo ha ricevuto giornalmente un grammo di OMEGA-3; il secondo 300 milligrammi di vitamina E (noto antiossidante); il terzo sia gli OMEGA-3 che la vitamina E; il quarto, che ha rappresentato il gruppo di controllo, la piu’ aggiornata terapia convenzionale. Dai risultati pubblicati su «The Lancet» e’ emerso che l’aggiunta di OMEGA-3 ha determinato una riduzione del 15% di incidenti cardiovascolari successivi: morte, secondo infarto e ictus; che la contemporanea somministrazione di OMEGA-3 e vitamina E non ha prodotto benefici aggiuntivi; che l’aggiunta della sola vitamina E ha prodotto una tendenza favorevole, ma non tale da essere considerata significativa. Se gli OMEGA-3 fanno bene agli infartuati, possono essere considerati anche fattori di prevenzione primaria per la popolazione generale. Ed e’ piu’ plausibile l’affermazione che mangiare piu’ pesce (meglio se di mare, meglio se «azzurro»), almeno due volte alla settimana e’ utile a tutti.

Fonte: La Stampa 07-08-2002

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Branzini e sogliole curano l’artrite e i disturbi cardiaci

SEMPRE piu’ spesso si sente dire che alla salute dell’apparato cardiocircolatorio fa bene mangiare pesce grasso almeno una volta alla settimana; in alternativa, si puo’ ricorrere ogni giorno a capsule contenenti mezzo grammo di grassi di pesce. Questi sono trigliceridi di acidi detti appunto grassi, appartenenti alla categoria nota come OMEGA-3 o n-3.

Non possono essere sintetizzati dal nostro organismo, ma vanno assunti dall’esterno. John Stanley, biochimico di Oxford, ha recentemente sostenuto che prevengono l’aritmia e riducono la probabilita’ di fibrillazione ventricolare, una delle cause d’arresto cardiaco, proteggendo cosi’ dalla morte improvvisa dovuta a un attacco di cuore.

Sempre dalla Gran Bretagna c’informano ora che c’e’ un motivo in piu’ per andare in pescheria. Alcuni scienziati dell’universita’ di Cardiff, infatti, hanno spiegato perche’ i grassi provenienti dal pesce alleviano il dolore e l’infiammazione dovuti all’artrite. E’ questa una malattia che colpisce le articolazioni, deformandole e riducendone le possibilita’ di movimento.

I ricercatori sostengono che gli acidi grassi OMEGA-3, quando sono portati dal sangue alla cartilagine e giungono all’interno delle sue cellule, dette condrociti, hanno vari effetti benefici. Riducono l’attivita’ di certi enzimi proteolitici responsabili del danneggiamento, come le aggrecanasi, che causano l’erosione cartilaginea. Inoltre gli acidi suddetti bloccano la sintesi di citochine, come l’interleuchina-1 e il fattore di necrosi tumorale, le quali, oltre a essere esse stesse infiammanti, stimolano la produzione di altre citochine da parte della cartilagine, portando cosi’ al peggioramento cronico dell’artrite. Dai grassi del pesce viene bloccato anche un altro enzima, la ciclo-ossigenasi-2, considerato uno dei maggiori responsabili del dolore e dell’infiammazione. Detto anche prostaglandina-sintetasi, l’enzima, come dice il nome, permette la biosintesi di alcune prostaglandine. Queste, insieme con composti a esse collegati, essendo sostanze irritanti, stimolano i nervi e procurano dolore. Nell’organismo e’ normalmente presente un enzima detto ciclo-ossigenasi-1, responsabile della biosintesi degli acidi grassi eicosanoidi, importanti nel mantenere le condizioni fisiologiche durante il metabolismo cellulare.

Gli acidi grassi OMEGA-3 non interferiscono con questo enzima importante, ma bersagliano solo il suo parente dannoso. La scoperta degli scienziati di Cardiff e’ percio’ particolarmente promettente, perche’ le industrie farmaceutiche stanno cercando sostanze sempre piu’ efficaci contro una malattia tanto dolorosa e invalidante come l’artrite; una linea di ricerca particolarmente battuta negli ultimi tempi si basa proprio sull’inibizione dell’enzima ciclo-ossigenasi-2.

Gli studi compiuti a Cardiff hanno quindi dato una giustificazione scientifica al vecchio uso dell’olio di fegato di merluzzo. Impiegato nella concia delle pelli e come tonico primaverile dalle famiglie di pescatori in Norvegia, Islanda, Scozia e Terranova, esso ebbe infatti gran successo anche come rimedio popolare contro artrite, reumatismi, gotta e tisi. I medici dell’ospedale di Manchester lo usarono con buoni risultati a partire dal 1770. La voce comincio’ a spargersi, ma ci volle l’uscita di una pubblicazione nel 1841 per suscitare un grande interesse. Qualche decennio dopo, un tal Charles Fox, chimico inglese, uso’ lo stesso olio per impregnare cerotti, lontani precursori dei dispositivi transdermici oggi tanto in voga per la somministrazione di farmaci. Sebbene consigliato anche per altri motivi, e cioe’ per l’alto contenuto di vitamine A e D, l’olio di fegato di merluzzo non ha mai incontrato simpatie per il gusto e l’odore sgradevoli.

Ma ora in commercio esistono capsule comode da ingoiare. E anche per rifornirsi solo di acidi grassi OMEGA-3, senza tutti gli altri principi contenuti in quell’olio, chi non mangia volentieri pesce puo’ andare in farmacia. In un modo o nell’altro, possiamo cosi’ assumere questi grassi cosi’ utili e privi di effetti collaterali sgraditi. Essi non contengono steroidi e, a differenza dell’aspirina, comunemente usata come antinfiammatorio, non danneggiano lo stomaco.

Uno studio clinico gia’ cinque anni fa aveva dimostrato che prenderli per tre mesi riduce i dolori e la rigidita’ articolare. Al giorno d’oggi e’ possibile incorporarli nei cibi, senza che il sapore venga alterato. Si possono aggiungere, per esempio, a burro, margarina, maionese, pane, biscotti, yogurt. Per ora i consumatori intervistati in proposito, pur capendo l’importanza di quell’apporto dietetico, sono sembrati piuttosto scettici. Lo stesso si deve dire per la maggioranza dei produttori, ma probabilmente un’educazione nutrizionale appropriata potra’ portare ad alimenti validi sia da un punto di vista dietetico sia da quello organolettico.

Fonte: La Stampa 23-08-2000

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L’evoluzione dell’uomo ringrazia gli omega-3

l metabolismo lipidico dell’uomo è “programmato” per funzionare al meglio con un introito alimentare di acidi grassi polinsaturi (PUFA) nel quale gli n-6 (o omega-6) siano in rapporto 2:1 con gli n-3 (o omega-3). L’alimentazione umana ha conservato questo rapporto ideale dal Paleolitico fino a circa diecimila anni fa, quando la “rivoluzione agricola” – cioè l’impianto di coltivazioni agricole a scopo alimentare – ha iniziato ad spostarlo verso l’alto fino a valori che oggi si collocano tra 10 e 20:1.

D’altra parte, è ormai dimostrato che nei paesi occidentali l’inversione di questa “insana” tendenza riduce l’incidenza della morte improvvisa, della cardiopatia ischemica e delle malattie cardiovascolari in genere, ma non si può escludere che futuri studi randomizzati e controllati dimostrino che ripristinare il giusto apporto dietetico di PUFA n-3 contribuisce alla lotta contro altre malattie degenerative di grande importanza epidemiologica come l’obesità, il diabete e vari tipi di tumore.

E’ questo il senso della ricerca che l’epidemiologa greco-americana Artemis Simopoulos, presidente del Center for Genetics, Nutrition and Health di Washington, DC, porta avanti da più di un decennio, ben sintetizzato in una sua recente pubblicazione (A. P. Simopoulos. Evolutionary aspects of diet, essential fatty acids and cardiovascular disease. Eur.Heart J.Supplements 2001; 3[Suppl.D]: D8-D21).

(Fonte Kataweb Salute 6/12/2002)

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I pregi del salmone

Secondo recenti studi, gli omega 3 sembrano contribuire anche alla prevenzione di alcuni tumori ed essere utili nel trattamento dell’artrite reumatoide. Sono anche studiati per il loro potenziale ruolo antidepressivo e perché sembrano contrastare il declino delle capacità cognitive nell’invecchiamento. Infine, sono necessari al feto per lo sviluppo di cervello e retina. Il salmone, come del resto gli altri pesci, è anche un’ottima fonte di proteine, di minerali (quali il fosforo) e, più di altri pesci, di vitamine come la E e la D. Quest’ultima promuove l’assorbimento del calcio e favorisce la mineralizzazione dello scheletro: il salmone, insieme a sgombri, aringhe e altri pesci grassi, è uno dei pochi alimenti che ne contiene quantità significative.
LA SCELTA
Insomma, nel caso del salmone, le calorie in più (185 per etto per il salmone fresco, 147 per quello affumicato) trovano ampie giustificazioni. Ma quale tipo di salmone scegliere? Risponde Elena Orban, responsabile dell’Unità di studio sui prodotti ittici all’Istituto Nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione: «Da nostri studi emerge che i pesci di allevamento hanno quantitativi di omega 3 paragonabili a quelli del pesce selvaggio. Quanto al salmone affumicato, consiglio di non eccedere, perché durante l’affumicatura si possono formare sostanze che, in quantità elevata, possono essere pericolose. Inoltre, i prodotti affumicati, come i cibi in scatola, sono molto ricchi di sale, che aiuta la conservazione. Fortunatamente, ora il salmone affumicato, e la nostrana trota salmonata affumicata, identica sotto il profilo nutrizionale e organolettico come dimostrano i nostri studi, vengono affumicati a basse temperature (27-30°C) e con meno sale».

Fonte: Corriere della Sera (11/01/2004)

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Come funzionano gli omega-3?

Sull’effetto cardioprotettivo degli omega-3 vi è unanime consenso, ma sui loro meccanismi d’azione restano aperte diverse questioni. Numerosi studi sia clinici che epidemiologici hanno infatti dimostrato una minore incidenza di malattie cardiovascolari nelle popolazioni che seguono una dieta ricca di pesce, che è la principale fonte di omega-3, e una riduzione del rischio di morte improvvisa dopo infarto miocardico acuto nei pazienti trattati con integratori di omega-3.
Una delle ipotesi in auge propone un’azione antiaritmica esercitata dagli omega-3 ma come questo avvenga rimane da dimostrare. Potrebbe dipendere dalla capacità degli omega-3 di influenzare alcuni parametri funzionali nella membrana miocardica, andando a cambiare la sua composizione lipidica, dalle loro proprietà antinfiammatorie oppure da un’alterazione di fattori extra-cardiaci. Proprio su questa seconda tesi sembrano indirizzarsi gli esiti di una ricerca presentata all’American College of Cardiology 2005 da Willima Harris e James O’Keefe.

I due cardiologi del Kansas hanno valutato i benefici degli omega-3 in diciotto ultrasessantenni con una storia di malattia cardiovascolare e una ridotta frazione di eiezione (minore del 40 per cento). Metà dei soggetti sono stati trattati con integratori agli omega-3 (1 grammo al giorno di EPA+DHA), l’altra metà con placebo. E al termine dei cicli di terapia sono stati costruiti i loro profili cardiovascolari sulla base di: frequenza cardiaca, pressione arteriosa, funzione cardiaca, compliance delle grandi e piccole arterie, recupero della frequenza cardiaca dopo un test da sforzo. Dal confronto dei dati raccolti nei due gruppi, gli autori hanno riscontrato nei soggetti trattati con omega-3 una riduzione della frequenza a riposo, un più elevato tempo di eiezione ventricolare sinistro e volume di stroke; anche il recupero della frequenza cardiaca a un minuto dal test di sforzo era tendenzialmente più alto (passando da 25,8 a 29,1 battiti al minuto). Non hanno invece verificato nessuna differenza significativa per quanto concerne la pressione sanguigna, la compliance arteriosa e gli indici di infiammazione.

“Gli omega-3 non esercitano dunque un’azione antinfiammatoria”, concludono gli autori della ricerca, “ma sembrano migliorare il controllo autonomico cardiaco. Questo effetto sulla funzionalità cardiaca potrebbe ridurre il rischio di morte improvvisa senza dover chiamare in causa cambiamenti della composizione di acidi grassi nella membrana lipidica miocardica”.

Fonte: Harris WS, O’Keefe JH. AHA-Recommended Intakes of Omega-3 Fatty Acids Improve Cardiac Autonomic Tone but Do Not Reduce Inflammatory Markers. JACC 2005; 45(3).

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Sardine contro infarto e ictus

Sardine regine della tavola per proteggere cuore e vasi ed evitare infarto e ictus. Parola di esperti, infatti, piu’ ancora di sgombri e aringhe sono proprio le sardine i pesci azzurri piu ricchi di acidi grassi omega-3: antiossidanti spazzini in grado di ripulire le arterie. A consigliare un consumo maggiore di questa specie ittica economica, ma poco gettonata nella penisola, sono i medici della Societa italiana per lo studio dell’ateriosclerosi (Sisa), riuniti a Mestre (Venezia) per il loro XIX Congresso nazionale.

Ed ecco la ricetta salvacuore suggerita dagli specialisti a convegno: per le persone sane pesce azzurro due volte a settimana per assicurarsi circa mezzo grammo al giorno di omega-3, mentre per chi ha gia avuto incidenti cardiovascolari pesce azzurro due volte a settimana con laggiunta di integratori farmacologici a base di omega-3, cosi da arrivare ad assumere un grammo al giorno di questo grasso amico. Gli effetti benefici degli omega-3, sia presenti in natura nella fauna ittica sia di derivazione farmacologica, sotto forma di integratori appositamente studiati, sono ormai assodati nella riduzione del rischio cardiovascolare, ha sottolineato Graziana Lupatelli, collaboratrice del presidente Sisa Elmo Mannarino, Clinica medica universita di Perugia.

Per questo, ripetono gli esperti, e consigliabile introdurre nella dieta tutte le tipologie di pesce azzurro e in particolare le sardine, in assoluto le piu ricche in omega 3. Queste sostanze hanno azione antitrombotica, riducono i livelli di trigliceridi nel sangue e prevengono le aritmie cardiache, ricorda una nota Sisa.

Fonte: AdnKronos (29/11/2005)

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Omega-3: meno rischi per il cuore in tempi brevi

I grassi omega-3 del pesce e quelli dell’olio di soia in poche settimane riducono il rischio cardiovascolare. È la prima dimostrazione, pubblicata sulla rivista Chest, degli effetti a breve termine di una dieta ricca di olio di pesce e soia o supplementi di queste sostanze. A darla uno studio di Fernando Holguin, della Emory University School of Medicine di Atlanta compiuto su 58 anziani.
“Le nostre scoperte per la prima volta contraddicono un concetto diffuso nella comunità medica secondo cui gli acidi grassi omega-3 producono solo a lungo termine effetti benefici sul sistema cardiovascolare”, ha affermato Holguin entusiasta, “mentre il nostro studio ha evidenziato miglioramenti della funzione cardiaca in un tempo ridotto di due sole settimane”.
I ricercatori hanno seguito per alcuni mesi gli anziani, misurando a più riprese un parametro molto usato per quantificare la funzione cardiaca autonoma, ovvero la variabilità della frequenza cardiaca (heart rate variability – HRV). Un ridotto valore di HRV è una buona misura predittiva di mortalità e complicazioni cardiache come le aritmie, sia in pazienti reduci da un infarto sia in persone considerate sane. I ricercatori hanno voluto verificare se il parametro HRV viene influenzato da una dieta a base di olio di pesce e di soia. Con questo intento gli esperti hanno somministrato ogni giorno per 11 settimane a metà campione 2 grammi di supplemento di olio di pesce, all’altra metà 2 grammi di supplemento di olio di soia che contiene omega-3 vegetali. Così facendo i ricercatori hanno dimostrato un considerevole aumento di HRV con i supplementi di olio di pesce ed un aumento di HRV, sia pure meno significativo, con quelli di soia.
“Prendere questi supplementi dunque”, ha riferito Holguin, “aiuta a ridurre il rischio di andare incontro ad eventi cardiovascolari avversi o morte improvvisa, specialmente in persone già classificate a rischio per la loro età, disturbi lipidici, ipertensione, storia familiare di cardiopatie, un passato da fumatori”.
Servono solo 2,7 settimane di supplementazione a base di omega-3 di pesce per registrare un aumento significativo di HRV, mentre ne occorrono 8,1 quando i supplementi sono di origine vegetale. “Studi come questo dimostrano che esistono approcci alternativi che possiamo usare per proteggerci da attacchi cardiaci”, ha detto Paul Kvale, presidente dell’American College of Chest Physicians, “è entusiasmante vedere l’effetto del consumo degli acidi grassi nel migliorare la funzione cardiaca, associato ad uno stile di vita sano, che preveda esercizio fisico, peso sotto controllo e otto ore di sonno”.

Fonte: Holguin F, Téllez-Rojo MM, Lazo M. Cardiac autonomic changes associated with fish oil vs soy oil supplementation in the elderly. Chest 2005;127:1102-7.