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Omega-3 e infiammazione: come riducono i livelli di proteina C reattiva (CRP)

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Gli acidi grassi Omega-3 sono da tempo al centro dell’attenzione scientifica per i loro numerosi benefici sulla salute, in particolare per la loro capacità di combattere l’infiammazione. Un aspetto spesso sottovalutato ma fondamentale riguarda la loro influenza sui livelli della proteina C reattiva (CRP o PCR), un marcatore infiammatorio cruciale associato a un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, diabete, disturbi autoimmuni e altre patologie croniche.

In questo articolo esploreremo in dettaglio come gli Omega-3 influenzano i livelli di CRP, quali evidenze scientifiche supportano questa connessione e come integrare efficacemente questi acidi grassi essenziali nella dieta quotidiana.


Cos’è la proteina C reattiva (CRP)?

La proteina C reattiva è una proteina prodotta dal fegato in risposta a processi infiammatori acuti o cronici. I livelli di CRP aumentano nel sangue in presenza di infiammazione sistemica e sono comunemente utilizzati come indicatore nei test diagnostici.

Un livello elevato di CRP è considerato un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari, poiché indica uno stato infiammatorio persistente che può contribuire alla formazione di placche aterosclerotiche. In tal senso, trovare strategie efficaci per ridurre la CRP rappresenta un passo importante per la prevenzione e la gestione di numerose patologie.


Omega-3: EPA e DHA come agenti antinfiammatori

Gli Omega-3 sono acidi grassi essenziali che l’organismo umano non è in grado di produrre autonomamente in quantità sufficienti. I più noti sono:

  • EPA (acido eicosapentaenoico)
  • DHA (acido docosaesaenoico)

Entrambi sono abbondanti in pesci grassi come salmone, sgombro e sardine, e sono noti per le loro proprietà antinfiammatorie. Questi acidi grassi agiscono direttamente su diverse vie metaboliche coinvolte nella risposta immunitaria, regolando la produzione di citochine pro-infiammatorie e eicosanoidi, mediatori fondamentali dell’infiammazione.


Gli Omega-3 aiutano davvero a ridurre la CRP? Cosa dice la scienza

Una vasta gamma di ricerche hanno analizzato l’effetto dell’integrazione con Omega-3 sui livelli di CRP. I risultati indicano che, sebbene le risposte possano variare da persona a persona, l’assunzione regolare di EPA e DHA è spesso associata a una riduzione significativa dei livelli di CRP nel sangue.

Tuttavia, alcuni fattori influenzano l’efficacia degli Omega-3 nel ridurre la CRP, tra cui:

  • La dose giornaliera: dosi più elevate sembrano avere un effetto più marcato.
  • La durata dell’assunzione: benefici evidenti si osservano dopo almeno 8–12 settimane di integrazione continua.
  • Le condizioni individuali: persone con livelli di infiammazione più elevati all’inizio tendono a mostrare una maggiore riduzione della CRP.

Uno studio pubblicato sul European Journal of Clinical Nutrition ha rilevato una relazione inversa tra i livelli ematici di acidi grassi omega-3 e la proteina C reattiva (CRP) in una popolazione sana. Lo studio ha coinvolto 124 adulti (46 uomini e 78 donne) che vivevano liberamente, suddivisi in tre gruppi (terzili) sulla base dei loro livelli plasmatici di CRP: (<1,0; 1,0–3,0; >3,0 mg/L). Sono state effettuate misurazioni della composizione corporea e antropometriche.

I livelli di hs-CRP (proteina C reattiva ad alta sensibilità) sono stati analizzati mediante immunodosaggi, mentre gli acidi grassi sono stati quantificati tramite gascromatografia. I ricercatori hanno riscontrato che il gruppo con il valore più elevato di hs-CRP (>3,0 mg/L) presentava concentrazioni significativamente inferiori di omega-3 totali, EPA e DHA, rispetto agli altri due gruppi. Gli autori hanno concluso che questi risultati offrono “evidenze che, negli individui sani, la concentrazione plasmatica di acidi grassi omega-3 è inversamente correlata alla concentrazione di hs-CRP, un indicatore surrogato del rischio cardiovascolare.”

Nel riportare i risultati di questo studio, il sito Natural Health Research ha evidenziato ulteriori osservazioni degli autori, sottolineando che “l’importanza di questo studio risiede nel fatto che gli individui con livelli più alti di hs-CRP (>3,0 mg/L) mostrano concentrazioni plasmatiche significativamente inferiori di acidi grassi omega-3” e che “questa correlazione inversa potrebbe rappresentare un possibile meccanismo attraverso il quale gli omega-3 riducono il rischio cardiovascolare.”

Un altro studio più recente, pubblicato su Frontiers in Nutrition, ha stabilito che “gli integratori di omega-3 riducono in modo significativo i livelli di CRP nei partecipanti con CRP inizialmente elevato (≥4 mg/L).” Lo studio, un trial crossover randomizzato in aperto, ha coinvolto 49 individui tra i 55 e gli 80 anni, fumatori attivi o ex fumatori con almeno 30 anni-pacchetto di esposizione al fumo.

I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: uno ha ricevuto un’integrazione di 2,4 g di EPA + 1,2 g di DHA per sei mesi seguiti da sei mesi di osservazione, l’altro ha seguito l’ordine inverso. Durante i 12 mesi sono stati raccolti campioni di sangue per misurare CRP, livelli di EPA e DHA nel plasma e nei globuli rossi, oltre ad altri marcatori infiammatori. Dei 49 partecipanti, 41 hanno completato lo studio.

I risultati hanno mostrato una riduzione significativa della CRP plasmatica dopo l’intervento con omega-3, con un effetto di media entità (Cohen’s d = 0,56). Gli integratori ad alto dosaggio sono stati ben tollerati, con lievi disturbi gastrointestinali segnalati solo in un numero limitato di partecipanti.

Anche altri studi hanno confermato l’effetto positivo degli omega-3 sull’infiammazione sistemica, come quello condotto su pazienti COVID-19 e la meta-analisi sui pazienti in emodialisi pubblicata su ScienceDirect.


Benefici indiretti sulla salute cardiovascolare e oltre

Ridurre i livelli di CRP non significa solo attenuare l’infiammazione, ma anche ridurre il rischio di patologie gravi, tra cui:

  • Infarto e ictus
  • Aterosclerosi
  • Diabete di tipo 2
  • Malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide

L’integrazione con Omega-3, o una dieta ricca di alimenti che li contengono, può rappresentare quindi una strategia preventiva efficace e naturale per sostenere il benessere a lungo termine.


Come assumere correttamente gli Omega-3

Per ottenere benefici tangibili, è consigliabile:

  1. Consumare regolarmente pesce azzurro (2-3 volte a settimana).
  2. Integrare con capsule di Omega-3 (consultando sempre un medico), puntando su prodotti certificati IFOS con un contenuto elevato di EPA e DHA come A-M B-Well .
  3. Includere fonti vegetali di Omega-3 (acido alfa-linolenico, o ALA), come semi di lino, semi di chia e noci.

La qualità dell’integratore è cruciale: è preferibile scegliere prodotti testati per la purezza e privi di contaminanti ambientali.


Conclusioni: gli Omega-3 come alleati naturali contro l’infiammazione

Gli acidi grassi Omega-3 rappresentano una risorsa preziosa per contrastare l’infiammazione cronica e, di conseguenza, abbassare i livelli di CRP nel sangue. Sebbene non siano una “cura miracolosa”, i loro effetti benefici sono supportati da numerose evidenze scientifiche.

Incorporarli nella propria alimentazione o sotto forma di integratori può contribuire al mantenimento della salute cardiovascolare, articolare e metabolica.

Prima di intraprendere qualsiasi integrazione, è comunque raccomandabile consultare un professionista sanitario, specialmente in presenza di condizioni cliniche preesistenti o terapie farmacologiche in corso.


In breve

Numerosi studi scientifici dimostrano che esiste una correlazione inversa tra i livelli ematici di acidi grassi omega-3 (EPA e DHA) e quelli della proteina C reattiva (CRP), un importante marcatore infiammatorio. In particolare, le persone con livelli più elevati di CRP tendono ad avere concentrazioni più basse di omega-3 nel sangue. L’integrazione con omega-3 ad alto dosaggio si è rivelata efficace nel ridurre significativamente la CRP, contribuendo così alla prevenzione del rischio cardiovascolare e alla gestione dell’infiammazione sistemica. Questi effetti sono stati osservati anche in popolazioni a rischio, come fumatori ed ex fumatori, pazienti COVID-19 e soggetti in emodialisi.