Sull’effetto cardioprotettivo degli omega-3 vi è unanime consenso, ma sui loro meccanismi d’azione restano aperte diverse questioni. Numerosi studi sia clinici che epidemiologici hanno infatti dimostrato una minore incidenza di malattie cardiovascolari nelle popolazioni che seguono una dieta ricca di pesce, che è la principale fonte di omega-3, e una riduzione del rischio di morte improvvisa dopo infarto miocardico acuto nei pazienti trattati con integratori di omega-3.
Una delle ipotesi in auge propone un’azione antiaritmica esercitata dagli omega-3 ma come questo avvenga rimane da dimostrare. Potrebbe dipendere dalla capacità degli omega-3 di influenzare alcuni parametri funzionali nella membrana miocardica, andando a cambiare la sua composizione lipidica, dalle loro proprietà antinfiammatorie oppure da un’alterazione di fattori extra-cardiaci. Proprio su questa seconda tesi sembrano indirizzarsi gli esiti di una ricerca presentata all’American College of Cardiology 2005 da Willima Harris e James O’Keefe.
I due cardiologi del Kansas hanno valutato i benefici degli omega-3 in diciotto ultrasessantenni con una storia di malattia cardiovascolare e una ridotta frazione di eiezione (minore del 40 per cento). Metà dei soggetti sono stati trattati con integratori agli omega-3 (1 grammo al giorno di EPA+DHA), l’altra metà con placebo. E al termine dei cicli di terapia sono stati costruiti i loro profili cardiovascolari sulla base di: frequenza cardiaca, pressione arteriosa, funzione cardiaca, compliance delle grandi e piccole arterie, recupero della frequenza cardiaca dopo un test da sforzo. Dal confronto dei dati raccolti nei due gruppi, gli autori hanno riscontrato nei soggetti trattati con omega-3 una riduzione della frequenza a riposo, un più elevato tempo di eiezione ventricolare sinistro e volume di stroke; anche il recupero della frequenza cardiaca a un minuto dal test di sforzo era tendenzialmente più alto (passando da 25,8 a 29,1 battiti al minuto). Non hanno invece verificato nessuna differenza significativa per quanto concerne la pressione sanguigna, la compliance arteriosa e gli indici di infiammazione.
“Gli omega-3 non esercitano dunque un’azione antinfiammatoria”, concludono gli autori della ricerca, “ma sembrano migliorare il controllo autonomico cardiaco. Questo effetto sulla funzionalità cardiaca potrebbe ridurre il rischio di morte improvvisa senza dover chiamare in causa cambiamenti della composizione di acidi grassi nella membrana lipidica miocardica”.
Fonte: Harris WS, O’Keefe JH. AHA-Recommended Intakes of Omega-3 Fatty Acids Improve Cardiac Autonomic Tone but Do Not Reduce Inflammatory Markers. JACC 2005; 45(3).